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4 cose sui traslochi (per chi ne fa troppi) e le fasi di transito

Uno spazio che possa essere definito ‘casa’ è per me come una stanza per Virginia.
Un posto tutto mio, con tutto il mio ordine/disordine, rituali, punti di fuga.
Si va in giro per aspettare domani ed avere nostalgia?
Ecco, casa è il posto per avere nostalgia, almeno per me.

Ma ognuno ha il suo modo di vivere e percepire le fasi stanziali e anche la casa.
Ciò che accomuna il 79.4% delle viaggiatrici (e nel 26% dei casi  anche dei viaggiatori) che ho incontrato e avuto il tempo di conoscere abbastanza bene – dati ottenuti dal mio generatore automatico di percentuali – è una serie di effetti collaterali comuni ai traslochi e alle fasi transitorie tra un posto e l’altro, che per una serie di ragioni e atteggiamenti anacronistici ci si ostina a chiamare casa.

In dieci anni, ne ho cambiate sette. Nella fasi di transizione, quelle in cui tutta la propria vita è compressa in un numero limitato di pacchi e valigie, ho osservato alcuni dei seguenti aspetti:

1 – assenza a me stessa
Impossibile svolgere alcuna attività che richieda concentrazione e consapevolezza.
Dermatiti acute, irregolarità intestinale, capelli secchissimi.
Per quanto riguarda il lavoro, lo ammetto, non riesco a seguire i consigli su come ricreare più o meno ovunque l’ambiente lavorativo.

2 – sciatteria
Guardando il film Colazione da Tiffany, ho trovato adorabile il modo con cui il regista ha voluto tradurre ciò che nel libro di Capote era scritto sulla porta (o citofono) di Holly. ‘In transito’.
Quella casa è l’identità stessa di Holly. Una volta arredata e sistemata (quando lei si sta per sposare) perde ogni forma di eleganza. Patetico il tentativo dei costumisti di far perdere eleganza anche a Audrey, ma ci hanno provato.
Ogni eleganza per me è perduta nelle fasi vere di transito.
Quante valigie devo aprire prima di trovare i miei anellini e orecchini, prima di trovare quella gonna carina e quella giacca tanto bella? Quanta entropia (ulteriore) si dovrà generare?
Troppe valigie, troppa entropia. Troppo tempo.
Terrò questi due jeans e queste tre megliette/maglioni sinchè questo inferno non sarà finito

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3 – giri vorticosi nel vuoto
Non si tratta di una metafora. Parlo proprio dei giri su me stessa guardando nel vuoto alla ricerca delle chiavi/cappello/macchina fotografica/penna che saranno nella borsa usata stamattina o nel pacco aperto ieri? Boh.

Spesso tutto è in tasca. Le tasche che già di abitudine sono dei buchi neri, in questi periodi sempre troppo lunghi diventano dei contenitori insostituibili di tutte le cose indispensabili.
Anche se alla fine me ne dimentico sempre e sono sempre l’ultimo posto in cui controllo.

 

4 – pacchi che restano chiusi
Avete mai notato che dopo ogni trasloco salta fuori un pacco che non avevamo visto e quindi riaperto?
E che cosa ci sarà lì dentro? (perché nella fretta di ogni cambio casa, figurati se si scrive sui pacchi che cosa c’è dentro… tanto sono solo due o tre scatole).
Di certo nulla di indispensabile visto che ho già sistemato tutto quello che mi serve.
Quindi restano da qualche parte, fermi. In un ripostiglio o garage, in un porta tuttoeniente dell’IKEA, assieme a buste cartonate in cui ci sono le cose uscite dalle varie case, cui non eravamo pronte a rinunciare perché troppo prese dalla fretta di ricreare casa in un altro posto.

Sono certa che potrei arrivare a sette, almeno.
Ma sono in un posto piccolo, circondata di pacchi e polvere, in attesa di trasferirmi nell’ennesimo posto erroneamente chiamato casa.
Non sono né ispirata né presente a me stessa.
E fosse per me, ora come ora, farei un rogo con tutti questi pacchi. Tanto le cose indispensabili sono sempre tutte fuori.

 

Che libri (o artifici)metto in valigia?

Sarò breve e banale più del solito, perchè così m’amate e così m’amo.
E dal momento che siete tutte intente nella scelta delle cose utili da mettere in valigia, anche consultando questo articolo e quest’altro pezzo, ecco che arrivo io, che di pacchi ne so a pacchi e vi dico che ci sono libri migliori di altri da piazzare nel vostro zainetto da girovaghe.

Dimensioni e spessore non sono la stessa cosa:
Non credo nelle ‘letture da ombrellone’. Abbiamo così tanto da fare e vedere che se si dedica tempo alla lettura è meglio farlo per cose per cui valga la ‘pena’, o meglio, l’impegno.
Tuttavia, consiglio per puro senso pratico di lasciare robe tipo Il Tamburo di latta di G. Grass e persino J. Austen all’autunno e al divanetto di casa.
-Libri poco spessi ma di spessore: Stefano Benni e Pennac (in particolare, di Benni, Margherita Dolcevita o l’ultimo, scritto con Luca Ralli, Pantera). Sono autori che strappano riflessioni profonde ma anche sonore risate, che servono sempre.

lore dvConsiglio a TUTTE, e poi anche a tutti, Storie d’Amore Inventato, di Loredana De Vitis (20090).
Ottimo per chi è romantica ma perfetto (più che perfetto) anche per chi è molto cinica. E per chi si nasconde, all’evenienza, dietro tutte e due queste attitudini. L’edizione è piccola, piccola, occupa meno posto del bagnoschiuma da viaggio. Più o meno quanto una palette di trucchi di dimensioni medio piccole.

 

Assieme alle donzelle che limitano il numero di sandali e magliette per far posto a più libri, ci sono anche quelle davvero smart che dicono ‘Porto tutti i libri che voglio… perché ho un tablet/book reader’. Brave, bene, bis.
A voi, suggerisco i primi quattro veloci, freschi e bellissimi libri che compongono ‘Sedici’ di Milena A. Carone. (sedici.us).
Una lezione di storia dell’Italia e del mondo degli ultimi venti anni, in una rete complessa di relazioni e di socialità fra donne.

(PS: le ultime due, mentre voi le leggete, io me le godo dal vivo! prrr)

Video – lettera a babbo natale

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