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Breve estratto per le donne viaggiatrici

“Per quanto la sua bellezza fosse tutt’altro che convenzionale, data la forma aquilina del suo naso pendente leggermente a destra e le gambe troppo magre con i quadricipiti ipertrofici di chi ha viaggiato molto e quindi frequentato molti bagni pubblici, lei aveva quella bellezza maliarda concessa solo a chi permette al corpo di raccontare la propria storia”

Estratto “Diversamente a Sud

A tutte voi, buona primavera!

Il buon viaggio si vede dal mattino

Ma a voi, capita mai di svegliarvi e aver voglia di non essere a casa ma in hotel e di voler fare colazione ‘altrove’?

Non intendo andare in giro verso il Louvre o verso il centro di Stoccolma. Non parlo nè della voglia di vedere cose nuove tantomeno di ‘allargare i propri orizzonti’ scoprendo una nuova cultura. Parlo proprio del rituale della colazione in viaggio.

A me sì, capita spesso. In particolare nelle mattine di sole dopo diversi giorni di freddo e pioggia.

Ovunque io sia, la colazione è il rito più esotico.
E ogni tanto mi manca farlo in un posto lontano.

5 modi di vivere (davvero) Londra… più o meno low cost

Troppo cara per periodi troppo lunghi.
Non conosco l’inglese (è vado a Londra per impararlo), non posso trovare lavoro.
Piove sempre.

Tra le scuse più in voga tra chi non prende la  decisione di partire alla volta di Londra, solo all’ultima è difficile fare obiezioni o cercare rimedi.

Partendo dall’assunto che a Londra non si va certo solo per la lingua, ci sono delle esperienze nuove da prendere in considerazione per chi ha seriamente voglia di andare a stare per un periodo più o meno lungo nella capitale degli UK.

1 – Scambia casa

In genere lo fa chi ha una casa di proprietà, ma tra gli studenti è molto in voga anche per chi è in affitto e trova il consenso di proprietario e coinquilini.
Il sistema, ben rodato e ormai abbastanza diffuso, funziona così: Si dà il proprio periodo di necessità/disponibilità ad andare a Londra e qualcuno registrato sul vostro stesso sito di scambio casa sceglierà quel periodo per stare a casa tua.
oppure il proprietario/inquilino della tua futura casa londinese in quel periodo sarà in qualche altro posto del creato.
Dal momento che ci sono tantissime persone a Londra e nel mondo che vorrebbero trascorrere un gap year in Italia, è il caso di approfittare del privilegio di vivere in un paese così amato all’estero.
Andare a Londra senza spese di alloggio e quindi riducendo incredibilmente il vitto, praticamente demolisce la faccenda dei costi elevati dell’esperienza!
Alcuni siti come scambiocasa.com permettono anche di mettersi in contatto con i proprietari, primo modo per costringersi a relazionarsi in un’altra lingua.
Altri portali utili: Guesttoguest (scambio reciproco, non necessariamente contemporaneo), Homeforexchange, Homeforhome.

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2 – Vivi in casa con proprietari autoctoni 

Può in parte essere una limitazione alla tua ‘libertà’ e sarà difficile organizzare party notturni al limite della legalità. In compenso, chiedere a qualcuno di affittarti una stanza nella sua casa potendone utilizzare gli spazi quotidiani in libertà è un modo per vivere e risparmiare ed avere un contatto più diretto con qualcuno che vive a Londra e la conosce più o meno bene. Può essere utile, soprattutto all’inizio.
Basta fare in google una ricerca per landlady/landlord London e troverai diversi siti che danno indicazioni su persone (spesso adulte… o più che adulte) che affittano stanze nella propria casa.

Some of the most famous legends and fairytales were born by… a lie. Can a lie create a love, as well? Maybe… in London.

Download for free this very short love&travel novel

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3 – Lavora in teatro

Se vuoi fare un’esperienza londinese ma andare fuori dal tracciato dei soliti lavori del gap year all’estero (ristorante, negozio, ragazza/o alla pari), prova a cercare lavoro in teatro per un breve periodo.
Sul sito web di quasi tutti i teatri (e ricordo che il teatro è un’istituzione culturale importante e autonoma in Inghilterra),
nella  sezione “about us” , è possibile trovare la voce“work with us/ work placement /internship ”.
Queste sono delle vere e proprie bacheche regolarmente aggiornate che pubblicizzano annunci di lavoro, posizioni volontarie, esperienze di lavoro o borse di studio.

4 – fai la spesa nei market all’aperto

Londra ha tantissimi mercati all’aperto, settimanali e quotidiani. Vi si trova di tutto, dal cibo ai fiori, all’abbigliamento agli oggetti di arredamento vintage. I più famosi, come  Portobello e Covent Garden sono ovviamente da vedere, ma per gli acquisti su base regolare vi suggerirei di affidarvi ad altri, più consueti tra gli autoctoni come il Broadway Market e il Real Food market.

Cerca su wikipedia list of markets in London.

Cerca anche i farmers’ market e diventane assidua o assiduo cliente.

5 – Fotografa i passanti e leggi nei parchi 

Ci sono delle attività che si addicono particolarmente ad ogni città. A mio avviso, i migliori hobby low cost per vivere al meglio Londra sono:
– fotografare i passanti
– leggere nei parchi quando il tempo è bello
– leggere nei caffè quando il tempo è piovoso, aspettando con nostalgia che il tempo torni ad essere bello
– Leggere nei caffè accanto alla finestra e guardare i passanti. Possibilmente per ore.
Se credi che sia noioso, forse hai ragione. Ma credo che il valore della noia vada fortemente rivalutato.

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4 consigli per annoiarsi in viaggio 

3 modi per usare la propria casa per viaggiare di più e low cost

Continuiamo a parlare del rapporto dicotomico (ma anche no) tra Viaggio  e Casa.

Se hai una casa di proprietà è possibile utilizzarla per viaggiare di più, meglio (ad esempio vivendo come una persona del luogo) e a costi più bassi.
Vediamo come, grazie a tre idee geniali venute negli ultimi anni al popolo del web.

1 – Home Restaurant
Il primo esempio lo devo alla cronaca e ai post virali degli ultimi giorni. Sappiamo ormai quasi tutti della tendenza che si sta diffondendo in Europa e piano (molto piano rispetto alla media europea ma molto velocemente rispetto alla velocità media italiana) anche in Italia del Home Restaurant.

Come asserito anche dal Sole24Ore, hanno poco a che fare con i guerrilla restaurant, al limite della clandestinità.
I ristoranti casalinghi, se seguono determinate e poche norme, sono legali, pagano un minimo di tasse e permettono a chi ne gestisce uno di guadagnare legalmente. Anzi, alcuni progetti sono anche appoggiati ufficialmente da istituzioni, come nel caso de Le Cesarine di Bologna, che hanno il patrocinio del Ministero delle politiche agricole.

Molti home restaurant sono nati e continuano  nascere registrandosi su Airbnb, altri si riuniscono in community o consorzi più o meno grandi con i quali è possibile scegliere date, menu, luogo ed effettuare i pagamenti direttamente on line.
Ad esempio, chi si vuole unire ad una cena casalinga su Roma può connettersi alla community Ceneromane. 

Per aprire un home restaurant non servono certificati sanitari. Se si tratta di attività lavorativa occasinale (sino a 5.000 euro all’anno) non serve partita iva.
Cercate una social community più vicino alla vostra area (ricerca in google es: ‘Home restaurant Palermo’ e chiedete se e come potervi unire a loro). Oppure aprite un vostro sito/blog con annessi social network.
Se serve ulteriore aiuto o consulenza su come divulgare la notizia e avere i primi clienti, contattatemi in privato 🙂

Quello che guadagnate potrebbe essere il budget del prossimo viaggio e un modo per stringere amicizie e contatti.

2 – Nightswapping
Si tratta della versione avanzata dei couchsurfing perché mentre questi ultimi sono per lo più autogestiti, il nightswapping ha dei requisiti precisi da rispettare in termini di letto, bagno e posto che si mette a disposizione dell’ospite.
Basato su un concetto unico di scambio di notti, il Nightswapping offre a privati, proprietari e affittuari la possibilità di andare in vacanza senza più pagare l’alloggio. Per ogni persona che si ospita, si guadagnano punti che permetteranno di soggiornare presso un altro nightswapper in un’altra parte del mondo.
A questa tipologia di scambio non partecipano solo giovani ma anche famiglie e pensionati; i criteri di feedback su ogni casa ospitante sono abbastanza ‘severi’.
In teoria non dovrebbero verificarsi gli inconvenienti in cui spesso si sono imbattuti giovani viaggiatori low budget che si aspettano un letto nel centro di Barcellona per poi trovarsi con una poltrona o un materasso a terra in un sottoscala.
Anche in questo caso la registrazione su un portale ufficiale di NIGHTSWAPPING è garanzia e garante (fate una ricerca in google usando questa parola chiave e scegliete quello che vi convince di più (cosmopolite home non è male, ed è il portale con più visite e recensioni).

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3 – scambio casa
Per i periodi più lunghi, lo scambio dell’abitazione è una soluzione ottima.
Hai una casa di proprietà e vuoi/devi andare per qualche mese in un’altro posto? In Nord Europa è molto diffusa la pratica dello SCAMBIO CASA, ovvero trovare una persona che ha necessità di spostamento nella tua città per un periodo simile al tuo, con la quale fare un vero e proprio scambio di abitazione.
Può essere un modo per ammortizzare i costi di soggiorno, cosa non da poco. Sulle bollette e i consumi, si possono (direi si devono) stringere degli accordi scritti basati sul consumo medio del proprietario nella propria casa. Esempio: io lo scorso anno da gennaio a maggio ho speso TOT di acqua, luce e gas. Chi viene a stare in casa non dovrà superare questa soglia, pena il rimborso degli esuberi. Se la casa che date è spesso disabitata, quindi con poco consumo, è possibile calcolare un deposito cauzionale forfaittario.
Per la gestione di questi accordi è meglio rivolgersi ad una delle agenzie on line che se ne occupano e non fare tutto da soli soprattutto se si tratta della prima esperienza.

Altre idee?

 

4 cose sui traslochi (per chi ne fa troppi) e le fasi di transito

Uno spazio che possa essere definito ‘casa’ è per me come una stanza per Virginia.
Un posto tutto mio, con tutto il mio ordine/disordine, rituali, punti di fuga.
Si va in giro per aspettare domani ed avere nostalgia?
Ecco, casa è il posto per avere nostalgia, almeno per me.

Ma ognuno ha il suo modo di vivere e percepire le fasi stanziali e anche la casa.
Ciò che accomuna il 79.4% delle viaggiatrici (e nel 26% dei casi  anche dei viaggiatori) che ho incontrato e avuto il tempo di conoscere abbastanza bene – dati ottenuti dal mio generatore automatico di percentuali – è una serie di effetti collaterali comuni ai traslochi e alle fasi transitorie tra un posto e l’altro, che per una serie di ragioni e atteggiamenti anacronistici ci si ostina a chiamare casa.

In dieci anni, ne ho cambiate sette. Nella fasi di transizione, quelle in cui tutta la propria vita è compressa in un numero limitato di pacchi e valigie, ho osservato alcuni dei seguenti aspetti:

1 – assenza a me stessa
Impossibile svolgere alcuna attività che richieda concentrazione e consapevolezza.
Dermatiti acute, irregolarità intestinale, capelli secchissimi.
Per quanto riguarda il lavoro, lo ammetto, non riesco a seguire i consigli su come ricreare più o meno ovunque l’ambiente lavorativo.

2 – sciatteria
Guardando il film Colazione da Tiffany, ho trovato adorabile il modo con cui il regista ha voluto tradurre ciò che nel libro di Capote era scritto sulla porta (o citofono) di Holly. ‘In transito’.
Quella casa è l’identità stessa di Holly. Una volta arredata e sistemata (quando lei si sta per sposare) perde ogni forma di eleganza. Patetico il tentativo dei costumisti di far perdere eleganza anche a Audrey, ma ci hanno provato.
Ogni eleganza per me è perduta nelle fasi vere di transito.
Quante valigie devo aprire prima di trovare i miei anellini e orecchini, prima di trovare quella gonna carina e quella giacca tanto bella? Quanta entropia (ulteriore) si dovrà generare?
Troppe valigie, troppa entropia. Troppo tempo.
Terrò questi due jeans e queste tre megliette/maglioni sinchè questo inferno non sarà finito

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3 – giri vorticosi nel vuoto
Non si tratta di una metafora. Parlo proprio dei giri su me stessa guardando nel vuoto alla ricerca delle chiavi/cappello/macchina fotografica/penna che saranno nella borsa usata stamattina o nel pacco aperto ieri? Boh.

Spesso tutto è in tasca. Le tasche che già di abitudine sono dei buchi neri, in questi periodi sempre troppo lunghi diventano dei contenitori insostituibili di tutte le cose indispensabili.
Anche se alla fine me ne dimentico sempre e sono sempre l’ultimo posto in cui controllo.

 

4 – pacchi che restano chiusi
Avete mai notato che dopo ogni trasloco salta fuori un pacco che non avevamo visto e quindi riaperto?
E che cosa ci sarà lì dentro? (perché nella fretta di ogni cambio casa, figurati se si scrive sui pacchi che cosa c’è dentro… tanto sono solo due o tre scatole).
Di certo nulla di indispensabile visto che ho già sistemato tutto quello che mi serve.
Quindi restano da qualche parte, fermi. In un ripostiglio o garage, in un porta tuttoeniente dell’IKEA, assieme a buste cartonate in cui ci sono le cose uscite dalle varie case, cui non eravamo pronte a rinunciare perché troppo prese dalla fretta di ricreare casa in un altro posto.

Sono certa che potrei arrivare a sette, almeno.
Ma sono in un posto piccolo, circondata di pacchi e polvere, in attesa di trasferirmi nell’ennesimo posto erroneamente chiamato casa.
Non sono né ispirata né presente a me stessa.
E fosse per me, ora come ora, farei un rogo con tutti questi pacchi. Tanto le cose indispensabili sono sempre tutte fuori.

 

3 motivi + 1 per partire con una reflex analogica

Sono esemplari pieni di immensa, inesauribile poesia!
Appartengono alla quotidianità di neanche due decadi fa, eppure esistono esemplari di genere umano alte più di un metro e settanta con diritto di voto che non le hanno mai usate e non saprebbero neanche come maneggiarle.

Sono le reflex analogiche!
Pesantissime, ci permettono di vedere le nostre foto solo dopo lo sviluppo, lungo e anche costoso.
Eppure ci sono dei buoni motivi per riprenderle in mano e portarle con noi nel prossimo viaggio. Eccone alcuni.

1 – Sono belle. 
Non mi rompete le palle con la faccenda del ‘de gustibus’. Ci sono cose belle e basta, come i vecchi quaderni in copertina monocolore, come la Vespa, come le scarpe col tacco. E come le macchine fotografiche reflex analogiche, soprattutto se fabbricate negli anni Settanta. Viaggiare con un oggetto bello rende il viaggio più bello.

2 – Fanno la differenza.

Come su accennato, un’intera generazione non sa nemmeno cosa sia e come si maneggi un rullino. Come si riavvolge, come si estrae, come si sviluppa. Conoscerlo e riscoprirlo vuol dire segnare la differenza tra ciò sanno fare i nativi digitali e ciò che sappiamo fare noi, che ci collochiamo goffamente nell’età della ragione.
Noi, che non sappiamo neanche se avremo una pensione, sappiamo usare il progresso, ma all’evenienza sappiamo anche decrescere, ricomplicarci la vita riappropriandoci della sua materialità.
Una foto è un attimo da tenere in mano, in un album e in una scatola. Non solo su un supporto elettronico.foto (2)

3 – L’attesa.
Ricordo le gite di scuola media e superiore. Quando non avevo una macchina fotografica mia, ma mio padre mi affidava una delle sue.
Era impensabile per me (per noi della nostra famiglia) viaggiare senza macchina fotografica: come andare sulla neve senza cappotto, al mare senza costume, al ristorante senza appetito.

I momenti più elettrizzanti del viaggio, anche per questi motivi, erano 3:
il giorno prima di partire, il giorno prima di tornare, il giorno dell’appuntamento dal fotografo per lo sviluppo del rullino/dei rullini.

Potevano venir fuori dei disastri di arte contemporanea (come le porcherie fotografiche del mio primo viaggio da sola, a Londra), o dei primi lavori soddisfacenti, in cui almeno si distinguevano bipedi da quadrupedi, come dopo il viaggio di lavoro a Parigi alla ricerca di ciò che resta degli antichi caffè letterari. 

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+1 – riscoperta
Quando le reflex non erano economicamente accessibili a tutti come adesso, erano una sorta di patrimonio di famiglia o personale, perché raggiunto a seguito di piccole rinunce. Averla in affidamento era una questione di fiducia. Riportarla a casa era questione di responsabilità.
Ritrovarne una nella propria cantina o in un vecchio armadio equivale a ritrovare qualcosa che un tempo era un costoso bene da custodire.

Inoltre, conosco fotografe e fotografi molto brave e bravi, forti sostenitori dell’assunto secondo cui la qualità della foto ben sviluppata sia sempre anni luce superiore a quelle stampate da scatto con analogica (ovviamente a parità di qualità della foto).

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Barbante, De Luca, Kundera

Lorenzo Gasparrini dice qualcosa su tre romanzi adatti ad ogni viaggio. Soprattutto alle fasi stanziali (sempre di viaggio).

Trotzdem [Nonostante]

Da molti mesi ormai leggo solo saggi – questioni di aggiornamento professionale, che volete farci – e non di argomento letterario. Il tempo se ne va così, e mi tocca ringraziare chi aspetta pazientemente che io legga le sue cose, o gli amici che mi suggeriscono titoli che io riesco a farmi regalare (nuovi) a mesi di distanza. Prometto che ricomincerò a scavare meglio nella mia libreria. Tanto, son promesse da critico letterario.

Sabrina Barbante, Diversamente a Sud, Roma, Vertigo Edizioni, 2014; 164 pp., euro 13.00, cm 21×13,5, copertina in cartoncino ruvido, carta semiruvida di media qualità.

La trama, per sommi capi. Viola torna nel suo Salento dopo anni milanesi, e come se non bastasse questa doppiezza, ne affronta molte altre: due amori, due genitori, due amici, due amiche, due corpi e due pensieri, cercando continuamente di non farsi sfuggire quelle sfumature che sa apprezzare nel vino, nel…

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Promuovere l’accessibilità è cool. Fallo con un selfie!

Parte da Lecce la campagna visual viral #accessibilityiscool, lanciata dall’associazione di promozione sociale Movidabilia in occasione dell’Inaugurazione della mostra AMARE LE DIFFERENZE, nata dall’omonimo visual contest, che rimarrà esposta presso l’Eos Hotel di Lecce, in via Alfieri 11 a Lecce sino al 29 dicembre.

accessibility is cool

Il gioco funziona così: tutti gli amanti dei social network e dei selfie sono invitati a scattarsi un selfie in un locale accessibile a portatori di disabilità motorie o sensoriali e a postare l’immagine sul proprio diario di fb o direttamente sulla pagina facebook di Movidabilia , usando l’hashtag
#accessibilityiscool, #movidabilia e il nome del locale e la città (esempio#eoshotel – Lecce).
Poi, come si confà a tutto ciò che è diventato viral sui social network più usati, si nominano amici e amiche affinché facciano lo stesso.

Il motivo alla base del gioco-contest è semplice:
denunciare la non accessibilità è utile, ma valorizzare l’accessibilità è cool!

La campagna nasce anche per il lancio delle magliette di Movidabilia, che giocano con la retorica che spesso ruota intorno al mondo della disabilità. Questo ribaltamento del punto di vista che mira a valorizzare l’accessibilità più che a denunciare la non accessibilità e a parlare di dbrailleisabilità come un problema ma anche come un diverso modo di percepire e decodificare la realtà, anch’esso da valorizzare, si rispecchia nei pay-off e nelle frasi riportate sulle magliette per il selfie perfetto:

L’amore è cieco ma legge il Braille,
In Lis We Trust,
Diversamente figo,
Diversamente figa,
Accessibility is cool.

Lo scopo è quindi da un lato la raccolta fondi attraverso le donazioni, dall’altro l’idea di creare una mappatura (attraverso i selfie) dei locali accessibili d’Italia e del mondo.

3 modi per decidere dove mangiare quando si viaggia in Italia

Read it in English
Uno degli aspetti più interessanti del viaggio è la parte mangereccia. Il cibo della tale o tal’altra trattoria è uno degli aspetti che più si sedimentano nella memoria di chi viaggia in Italia, che si tratti di turisti italiani o stranieri. Ma non sempre è facile decidere, tanto più quando il locale suggeritoci dal gestore dell’ostello è pieno o troppo lontano. Ecco allora tre modi per capire dove è il caso di tentare e dove forse no, sulla base della mia esperienza.

1- il nome

Volete assaggiare davvero antichi e autentici sapori locali? Bene, evitate i posti che si chiamano locanda/osteria/tugurio degli antichi sapori locali. Infatti questa nomenclatura dei locali appartiene a gestioni molto recenti che rispondono alla necessità dei clienti di assaggiare qualcosa di davvero tipico in città sempre più turistiche in cui i fast food e i supermercati da cui i ristoranti si riforniscono hanno omologato prodotti e sapori. Puntate invece ai posti da nomi un po’ anni Sessanta o Settanta tipo ristorante Europa (molto in voga nei mitici settanta) o che richiamano la toponomastica (tipo Ristorante del Duomo nei pressi di un duomo). Erano infatti metodi per facilitare il passaparola e il ritorno dei clienti, basati sulla Mnemonica, usati dai ristoratori quando non esistevano google maps e navigatori o internet. Le insegne come i nomi saranno démodé ma spesso si tratta di posti che operano da decadi e quindi dove spesso mangiano autoctoni. E questo è indicatore di qualità. IMG_1295.JPG 2- less is more

Come dicono in ammmmerica, a volte qualcosa di meno corrisponde ad avere in sostanza qualcosa di qualitativamente migliore. Se un locale indica chiaramente sul menù esposto che alcune pietanze si trovano solo in alcuni giorni della settimana, probabilmente il cibo servito è sempre fresco e ci sarà poco di congelato. La cosa vale soprattutto per il pesce. Per le verdure invece, conoscere le stagionalità dei prodotti vi sarà di certo di aiuto nella scelta del piatto più saporito e nel capire se i prezzi sono giusti. Basta uno Smart phone connesso ad internet per conoscere a quale periodo appartiene ogni verdura: tecnologia e decrescita felice, sodalizio per mangiare meglio, anche fuori.

3– vino della casa

Ho imparato una cosa: quando si chiede ‘che vino avete?’ E la prima risposta è ‘vino della casa’ conta fino a tre, poi alzati e scappa. Se non ci tengono a dire subito almeno qual è il vitigno potrebbe trattarsi di un tavernello come di un uniposca rosso sciolto in aceto. Lo piazzeranno sul tavolo incuranti del codice dei diritti del viaggiatore bevitore, che prevede la possibilità di assaggiare il vino prima di accettarlo. Come si confà ai re e regine.

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Postilla. In tutto il Sud e in particolare in Puglia e Sicilia è meglio non dire ‘sono vegetariano’ perché manderete inutilmente nel panico i gestori, quasi sempre inconsapevoli del fatto che il 70% dei piatti proposti sul menù è veg. Meglio individuare un piatto e chiedere la ricetta esatta per curiosità e accertarsi dell’assenza di soffritti di carne, dita umane, tracce di salsiccia nel sugo.

7 risposte veloci su Halloween

Ok, sappiamo che ha origini celtiche e non americane, sappiamo che in America è stato importato come del resto è stato importato anche da noi (forse questo non lo sanno proprio tutti, ma i più sì).
Vediamo ora di scoprire in brevi pillole il perché di ogni rito legato alla festa del dolcettoscherzetto (zucche, maschere, nome, chi lo ama, chi lo odia).

cristiani-contro-halloween-71 – perché ci si veste da fantasmi, morti e simili?
Perché tra i riti e le credenze che accompagnavano i celti verso l’inverno, c’era il passaggio terreno per una notte del dio Samhain, che richiamava a sé i morti per portarli o riportarli nell’Aldila. Gli umani, per paura di essere posseduti o attaccati da spiriti malevoli, si mimetizzavano travestendosi da morti o indossando le pelli di animali (morti, per ovvie ragioni).

th2 – perché… ‘dolcetto o scherzetto?’
Perché si poteva ingannare i morti ma non le fate e le streghe (ne sapevano a pacchi, i Celti).
Fate e streghe, nella notte del passaggio, si divertivano a fare scherzi. E gli scherzi delle fate nella mitologia celtica non sono cose da scompisciarsi dal ridere! Ci andavano giù duro, si portavano via i bambini, facevano perdere la ragione agli adulti. Per questo, oltre a travestirsi da animali morti, i poveri umani si chiudevano in casa, lasciando davanti alle case latte e alimenti poveri per imbonirsi queste regine del cabaret celtico.

Free-Halloween-Pumpkin-Wallpaper-1920x1200113 – perché le zucche?
In secoli e tripudi di leggende che si susseguono nella storia delle tradizioni, vince sempre la favola più forte. 
Il motivo della zucca intagliata risale ai druidi, che usavano intagliare vari tipi di verdure, in primis rape, per farne delle lanterne e dei contenitori. Ma la favola più forte è senza dubbio quella di Jack-o’-lantern, fabbro ubriacone irlandese che ben due volte nella vita truffò il diavolo, che aveva tentato di portargli via l’anima.
Alla sua morte, la sua reputazione da baro non gli permise l’ingresso in paradiso. L’inferno, per contro, gli disse che poteva tranquillamente restare a vagare tra le anime senza sosta che non trovano collocazione nell’Aldila, perché non gradito. Unico dono da Satana, che in questa storia ne esce da vero signore, un tizzone per riscaldarsi. Jack lo mise in un rapa (allora più comune delle zucche), e quella rapa con un tizzone incandescente è ciò che si vede di lui quando, nella notte del raduno delle anime di cui al punto 1, ritorna a vagare tra i vivi.

4 – perché il 31 ottobre?
I druidi e i loro riti ovviamente non seguivano il nostro calendario gregoriano, che risale al 1500. I riti relativi all’omaggio delle anime dei defunti sulla terra si univano a quelli propiziatori per superare l’inverno, cosa affatto scontata di quei tempi.
Con l’avvento del cristianesimo, i riti pagani pre-esistenti sono stati cristianizzati e alle celebrazioni legate al Samhain sono state associate quelle della commemorazione di Santi e Morti, ‘istituzionalizzate’ ai primi di novembre. E da qui, arriviamo alla domanda:

halloween london 5 – perché ha questo nome?
Perché viene da All Hallows’ eve, vigilia della festa delle anime.
E da qui, la tradizione e la leggenda celtica inizia a modificarsi e ad arrivare sino a noi, più o meno come la nostra immagine del maligno. E più o meno come il Natale. Come al punto 3 ‘vince sempre la favola più forte’. 

6 – perché la chiesa è contro Halloween?
Non è difficile avere un’idea in merito. Sino a qualche anno fa, la festa culturalmente modificata era rimasta solo al Nord Europa e negli USA, dove fu importata dai padri pellegrini. E poi in Australia, assieme agli altri elementi della sua storia coloniale.
Qui da noi, nel Sud Europa, arriva come festa già fortemente commercializzata, che riproduce il satanico rendendolo quasi simpatico e comunque protagonista e vincitore (non esiste redenzione in Halloween). Inoltre stranamente i bambini risultano più affascinati dalla festa con dolci e maschere che dai ceri e le visite al cimitero il giorno di Santi e Morti.

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7 – perché i radical chic di sinistra e i nazionalisti di destra sono contro Halloween?
Nel giorno del passaggio delle anime dei defunti, nel giorno in cui il truffaldino ubriacone Jack fa oscillare la sua lanterna nel buio, avviene il miracolo e anche le fazioni più ideologicamente lontane nella nostra (spesso povera) politica trovano un accordo.
Per molti, Halloween è simbolo del capitalismo statunitense che ci ha colonizzati con Beverly Hills e simili.
Per altri, è un modo ottuso per dimenticare le nostre patriottiche ricorrenze, legate alle nostre tradizioni, usi e costumi già a rischio a detta di molti.

A me, Halloween da un po’ sta simpatico.
Perché le contaminazioni e il sincretismo sono più del 70% di ognuno di noi. Sicuramente lo sono di me.
Perché grazie ad Halloween so un paio di cose in più sui druidi.
Perché tanto alla fine, vince sempre la favola più forte.

 

La verità sul lavoro di ‘blogger’.

Di cosa campano? Chi li paga? Lavorano davvero dove e quando vogliono?

La rete è piena di articoli con ottimi consigli su come  diventare un Travel Blogger, o un blogger in generale.

Decisamente un lavoro affascinante. Scrittura, autonomia [e già qui siamo in un concetto relativo], occuparsi dei propri interessi [ehm, no, anche qui è il caso di discutere].
Insomma, intorno a questo nuovo tipo di lavoratori digitali , visti più come figure mitologiche che professionali, ruotando domande senza precise risposte e anche molti miti da sfatare.

How-to-Become-a-Freelance-WriterScendiamo nel dettaglio e vediamone alcuni insieme.

1 – Di che cosa campa un blogger?
Vi diranno che  Fashion Blogger e Travel Blogger sono i più richiesti, quelli che riescono anche a campare solo di blogging e ad avere inserzioni pubblicitarie. Non è propriamente vero. Anzi, è un po’ come dire che tutte le ballerine di danza classica riescono a mantenersi con la loro attività di danzatrici.
Il blogger anzi tutto non guadagna solo dal proprio blog e scrive anche per quelli di altre aziende, dietro compenso. Questo lo farà se il cliente lo ritiene bravo, ovviamente.
Come un giornalista, un blogger non deve necessariamente essere super competente in merito agli argomenti richiesti dal cliente. Basta che abbia voglia di:

– studiare nuovi argomenti
– renderli (e renderseli) interessanti
– saperli raccontare.
– saperli e poterli condividere sui social. (Per un blogger di professione, ogni follower su uno dei propri social è potenziale fonte di credibilità verso il prossimo cliente).
Poi, il blogger scrive anche sul suo blog personale, che serve a volte come vetrina, altre come sfogo, altre come ulteriore fonte di guadagno.
Quest’ultima possibilità dipende soprattutto dal numero delle visite al suo blog, ed è per questo che in genere i fashion blogger e i travel blogger hanno più possibilità: trattano argomenti di interesse molto generale e trasversale.

2 – libertà
Possono lavorare dove vogliono e quando vogliono! La libertà non ha prezzo.
Ecco, anche su queste due frasi (spesso dette anche sui free-lance in genere) c’è molto di cui parlare.
La verità è che i lavoratori digitali da postazione remota (che fa meno figo di free-lance e blogger ma che definisce meglio la tipologia di lavoro), lavorano quando DEVONO e dove POSSONO.

Al cliente interessa poco che tu sia in un villaggio vacanze o sulla punta di un iceberg. Devi avere una connessione e fare il tuo dovere.
Ecco una galleria di posti in cui ho recentemente lavorato.


Veniamo alla ‘libertà’ di orari. Se le scadenze si susseguono in maniera regolare, tutto ok, basta essere organizzati. Si può iniziare a lavorare al mattino alle 10.00 o alle 8.00 sorseggiando caffè in pigiama. Ma se, ad esempio, tutti i clienti sono in fase di progettazione, eventi, cambiamenti da promuovere, potresti trovarti ad iniziare a lavorare alle 4.00 di mattina per poter finire alle 20.00 dal momento che alle 21.00 devi essere all’evento a fare foto. (perché, come in tutti i lavori fatti bene, non ci si può limitare a fare solo quanto scritto nell’accordo, bisogna andare oltre. Ma questo rientra nell’etica professionale personale).

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3 – Basta uno smartphone.
No, non è vero. Serve un Iphone. Non amo fare pubblicità a marchi che non ne hanno bisogno e che non mi danno una lira, ma non posso esimermi. Quando avevo uno SmartPhone Samsung controllavo cose. Da quando mi hanno regalato un Ip4, lavoro dal cellulare.
Non ho neanche più bisogno del tablet; salvo alcune tipologie di aggiustamenti on line, si può fare il blogger dal telefono. Anche nel caso del tablet, se non è Apple meglio lasciar perdere.
Almeno, nel mio caso con il passaggio all’infame mela morsa, si è del tutto cambiato universo.

4 – Il mondo dei blog è in declino/è morto
Avere un sito web e non avere un blog all’interno dello stesso è come avere una vetrina e tenere le saracinesche abbassate e nessun’insegna. Il web è una piazza stracolma di marchi, siti, negozi on line. I blog costantemente aggiornati servono alle aziende per salire di posizione nei motori di ricerca ed essere trovati dagli utenti che ancora non li conoscono.
Persino una pagina facebook è del tutto inutile senza delle notizie fresche da condividere almeno una volta a settimana.
Ed è inutile che tali notizie vengano scritte direttamente come post sulla pagina facebook, perché quest’ultima deve servire a portare traffico sul sito, dal momento che è da lì che si vende.
Per questo serve un blog con articoli freschi che possano interessare più gente possibile, possibilmente in più paesi (ergo, meglio blog in doppia lingua) da condividere sui social.
I blogger fanno anche questo.

In breve, il blogger lavora non dove vuole ma ovunque debba,
deve studiare, studiare, studiare. Meglio se anche (in) altre lingue.
Fa spesso le ore piccole.

Ora che la fiaba e il mito sono interrotti, spezzati, distrutti, sei sicuro di non voler fare l’impiegata/o?

4 consigli per annoiarsi in viaggio.

Non ci sono errori di omissione nel titolo, avete capito proprio bene.
Questo articolo dà consigli pratici per raggiungere il livello a mio avviso qualitativamente più alto di ogni viaggio: la noia.
Quella ricercata e voluta che ti fa sentire più vicina a chi vive e ha tempo di non fare nulla nel posto che per noi è meta di scoperta e curiosità.

La noia contemplativa è quella cosa che ti fa capire come è, o come sarebbe possibile, riempire le ore vuote in una data destinazione, proprio come faremmo se fossimo in quel posto stanziali.

1 – Cervello in stand by, prove generali prima della partenza:

1174611_10201951787259109_216233733_nAh, e dove te ne vai la prossima volta?
Credo che andrò a Lisbona.
Ah bello, ci sono andato anche io. Devi assolutamente vedere Blablabla Pitùppitùppitù!
Ma poi ovviamente anche prendere un treno e andare lì.
Ma questo e quello non si possono davvero perdere, non puoi andare a Lisbona senza vedere almeno Gnegnegne Tuppitù.

Ecco, Gnegnegne Tuppitù è il solo concetto che mi si stratifica in testa di tutte le informazioni a raffica di chi consiglia millemila cose da vedere e fare, magari nell’arco di un week end o di una settimana.
Partire senza una guida può essere di aiuto. Meglio reperire informazioni su cosa fare, dove andare e cosa si sta vedendo, direttamente sul posto, magari chiedendo alle persone che si incontrano in loco. 

2 – Rassegnazione propositiva = speranza:

Lo so, lo sappiamo tutti, ovunque ci sono un miliardo di cose da vedere. Quanto è plausibile poterle vedere e sentire tutte nell’arco dei pochi giorni che staremo in un posto nuovo? Possibilità realisticamente pressoché nulla, rassegnamoci.
Aggiungiamo a questa rassegnazione la speranza di ritornare per saldare il debito con le cose da vedere a tutti i costi prima di morire, se ce ne sono.

IMG_15983 – Scegli la Qualità alla Quantità:

Potremmo andare ovunque con le scarpe e lo spirito del centometrista. Correre, correre, correre e vedere tutti, ma proprio tutti i musei di Londra o tutti i castelli della Loira. Arrivare in un posto, fare una foto, mettere un ‘Visto’ immaginario e fuggire via. Ci avremo guadagnato solo una foto in più da condividere sui social per far sapere a tutti dove siamo stati.
Avremo fotografato tutto e visto niente.
Le nostre scarpe da corsa avranno vissuto più di noi.
Un cammino è pur sempre fatto di una testa che guida un piede, no?
Poco è meglio.

4 – Liberati dall’attesa dei tuoi racconti e resoconti

Read the short love&travel novel NYC - HURRICANE
Read the short love&travel novel NYC – HURRICANE

Dietro ai nostri viaggi, come al 92,1% delle cose della vita (dato ottenuto dal mio generatore automatico di percentuali), ci sono sempre una serie di aspettative che hanno più a che fare con il confronto con gli altri (alla partenza e al rientro) che con noi stessi e quello che davvero ci piace.

Al ‘senso di colpa’ per essere andata a New York  ma NON a Liberty Island, sostituisco la consolazione di aver scelto di fare una passeggiata di più a Soho e a Central Park. E cosa ho fatto a Central Park la seconda volta (per 4-5 ore)? Niente, ho letto e poi ho dormito.

La prima volta che sono stata a Nizza non ho voluto prendere il treno per andare a vedere Marsiglia (forse la città più bella e caratteristica della Francia meridionale). Cosa ho fatto? Ho trascorso un altro pomeriggio a leggere un libro sulla Prom (nella fattispecie Un vie Française di Dubois). E a guardare il mare e bere costosissima acqua.

berlino sabri modificataNon si tratta solo di una questione di pigrizia. A mio avviso è proprio quel sacrale senso di noia che è bello godersi almeno una volta in ogni posto.
Bevendo un cappuccino e percorrendo la stessa strada del giorno prima, magari sperando che un edicolante mi riconosca e mi saluti (se vai ogni giorno in un posto diverso questo non accadrà);
Andando nella stessa piazzetta accanto all’ostello, dove nessun turista verrà mai a fare una foto perché non c’è nulla di particolare da catturare, se non una tizia col viso oriundo che guarda le fronde di un albero.