Tutti gli articoli di Sabrina Barbante

Giornalista, blogger, scrittrice ('Il rumore della neve' e 'Ultimo Fuoco' i suoi primi due romanzi). Viaggiatrice compulsiva.

Un hotel dal sogno e low cost a Tampere

Quando viaggiamo cerchiamo le cose che amiamo, con il coraggio che spesso non abbiamo nelle fasi stanziali.
Molti amano il design. Chi lo ignora, imparerebbe ad amarlo se avesse la possibilità di conoscere questo mondo, anche solo sfiorandolo per sommi capi.

Il primo suggerimento di questa nuova categoria travel the designsi rivolge a chi sta pensando di fare un viaggio a Tampere, in Finlandia, o a chi ha bisogno di un ulteriore buon motivo per andarci.

Nella città di Tampere, infatti, in un ex edificio industriale è stato creato il Dream Hotel, un hotel low cost dal design nordico ed elegante.
Il nordico lo si sente nelle note di extreme white  delle camerate, nel legno naturale non laccato a vista degli spazi comuni e nelle linee semplici e pulite in ambienti compatti.

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Il progetto di rivalutazione e ristrutturazione di questo spazio rientra in un progetto di workshop collettivo organizzato nella città per la valorizzazione e il recupero di spazi da adibire a foresteria. L’alta qualità progettuale (frutto del lavoro dello studio di architettuta Puisto), il legno a basso impatto ecologico e l’assetto accogliente lo rendono papabile per il prossimo viaggio.

Diciamo pure che mi è venuta un’improvvisa voglia di Tampere e di Finlandia solo per questo hotel/ostello!

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I costo vanno da 19 euro a persona a notte in una camerata da 16 letti ad un massimo di 59 euro per una singola.
59 anche la doppia, per un totale di 30 euro a persona a notte. Una delle soluzioni più economiche che abbia mai incontrato, soprattutto per il rapporto qualità prezzo!
Ecco il sito web. 

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Su Vero Casa di marzo, anche i miei consigli su – come arredare una casa con gatti – il verde in case minuscole – rimodernare usando solo i colori


 

3 cose da ricordare di Oslo

Ho deciso di scrivere di Oslo. Nel preparare il pezzo e nelle comuni note che si buttano su carta quando si scrive un articolo, ho notato che le prime tre cose che mi sono venute in mente non sono affatto cose che di solito si associano subito ad Oslo o alla Norvegia. L’elenco delle prime tre cose che ricordo dei miei 10 giorni a Oslo contiene: scultura, co-working, pane nero.

Scultura: se dico Grecia, Italia, Francia, qualche scintilla di Malta, spesso penso all’arte figurativa. Eppure una delle opere, o meglio, dei complessi scultorei che più mi sono rimasti impressi nella memoria geografica sono le sculture del parco Vigeland, un’area all’interno del Frognerparken. I motivi, nel mio caso, sono molteplici:  Rilegata ad una cultura ecclesistico-museale (perdonami, non ho trovato espressioni meno pensati) mi aspetto sempre che un parco sia un luogo di contemplazione e non di riflessione e ammirazione artistica. Tanto meno di simile tipologia. Inoltre sono abituata a vedere corpi nudi e perfetti solo se raccontano di santità, divinità, eroicità epica. Ma sfido chiunque ad imbattersi in una simile altra celebrazione del corpo di uomini e donne intesi come entità caduche, fragili, isteriche e sessuate.

Co-working: per coloro che devono o vogliono trascorrere un periodo norvegese che comprenda anche ore di lavoro, esistono molti spazi di co-working (che si accompagnano ad un’accentuata e naturale attitudine degli autoctoni a lavorare nei luoghi pubblici al chiuso come caffè e pub). Il punto è che la gestione lavorativa pare essere qui molto flessibile. Questo, insieme ad uno stato sociale molto presente, ad una ricchezza molto diffusa e alla scarsa popolazione, unito ad un’attitudine poco ossessiva nei confronti della  genitorialità, consente di mettere su famiglia in età molto giovane (per strada vedrete madri e padri ventenni che pascolano bambini già auto portanti).

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CO-WO PER VIANDANTI, UN UFFICIO OVUNQUE NEL MONDO

Pane nero: l’ho già detto, è un mio problema: la colazione in viaggio per me è sacra. Il momento più bello. Ciò, unito al mio amore per il pane, ha creato un connubio mnemonico che…
mi è venuta fame, torno subito.

Ok, eccomi. A Oslo nei B&B o in hotel (ma anche se hai la fortuna di alloggiare presso un privato), troverai un pane nero leggermente dolciastro, ottimo sia con marmellate dolci che con il loro formaggio color caramello. Non è una cosa esclusiva della Norvegia, ma si trova anche in altri paesi del Nord Europa. Processed with Moldiv

  • A proposito di scultura, da vedere anche il ciclo ligneo che racconta la storia delle divinità nordiche, all’ingresso del municipio. La vista sul porto quando il cielo è sereno è bellissima.
  • Un posto per ottimo pane nero e formaggio scuro, è lo Stockfleths (solo che vedo che negli anni non hanno avuto l’illuminazione di dover tradurre il sito in inglese)

Breve estratto per le donne viaggiatrici

“Per quanto la sua bellezza fosse tutt’altro che convenzionale, data la forma aquilina del suo naso pendente leggermente a destra e le gambe troppo magre con i quadricipiti ipertrofici di chi ha viaggiato molto e quindi frequentato molti bagni pubblici, lei aveva quella bellezza maliarda concessa solo a chi permette al corpo di raccontare la propria storia”

Estratto “Diversamente a Sud

A tutte voi, buona primavera!

Il buon viaggio si vede dal mattino

Ma a voi, capita mai di svegliarvi e aver voglia di non essere a casa ma in hotel e di voler fare colazione ‘altrove’?

Non intendo andare in giro verso il Louvre o verso il centro di Stoccolma. Non parlo nè della voglia di vedere cose nuove tantomeno di ‘allargare i propri orizzonti’ scoprendo una nuova cultura. Parlo proprio del rituale della colazione in viaggio.

A me sì, capita spesso. In particolare nelle mattine di sole dopo diversi giorni di freddo e pioggia.

Ovunque io sia, la colazione è il rito più esotico.
E ogni tanto mi manca farlo in un posto lontano.

FREELANCE LIFE VIDEO EPISODE 6 – STRANA FACCIA

Un freelance ci mette la faccia.
Il mio video per la Notte di Inchiostro di Puglia del 24 aprile.
Se ami leggere e hai la faccia strana di chi guarda oltre… mettici la tua (strana) faccia

5 modi di vivere (davvero) Londra… più o meno low cost

Troppo cara per periodi troppo lunghi.
Non conosco l’inglese (è vado a Londra per impararlo), non posso trovare lavoro.
Piove sempre.

Tra le scuse più in voga tra chi non prende la  decisione di partire alla volta di Londra, solo all’ultima è difficile fare obiezioni o cercare rimedi.

Partendo dall’assunto che a Londra non si va certo solo per la lingua, ci sono delle esperienze nuove da prendere in considerazione per chi ha seriamente voglia di andare a stare per un periodo più o meno lungo nella capitale degli UK.

1 – Scambia casa

In genere lo fa chi ha una casa di proprietà, ma tra gli studenti è molto in voga anche per chi è in affitto e trova il consenso di proprietario e coinquilini.
Il sistema, ben rodato e ormai abbastanza diffuso, funziona così: Si dà il proprio periodo di necessità/disponibilità ad andare a Londra e qualcuno registrato sul vostro stesso sito di scambio casa sceglierà quel periodo per stare a casa tua.
oppure il proprietario/inquilino della tua futura casa londinese in quel periodo sarà in qualche altro posto del creato.
Dal momento che ci sono tantissime persone a Londra e nel mondo che vorrebbero trascorrere un gap year in Italia, è il caso di approfittare del privilegio di vivere in un paese così amato all’estero.
Andare a Londra senza spese di alloggio e quindi riducendo incredibilmente il vitto, praticamente demolisce la faccenda dei costi elevati dell’esperienza!
Alcuni siti come scambiocasa.com permettono anche di mettersi in contatto con i proprietari, primo modo per costringersi a relazionarsi in un’altra lingua.
Altri portali utili: Guesttoguest (scambio reciproco, non necessariamente contemporaneo), Homeforexchange, Homeforhome.

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2 – Vivi in casa con proprietari autoctoni 

Può in parte essere una limitazione alla tua ‘libertà’ e sarà difficile organizzare party notturni al limite della legalità. In compenso, chiedere a qualcuno di affittarti una stanza nella sua casa potendone utilizzare gli spazi quotidiani in libertà è un modo per vivere e risparmiare ed avere un contatto più diretto con qualcuno che vive a Londra e la conosce più o meno bene. Può essere utile, soprattutto all’inizio.
Basta fare in google una ricerca per landlady/landlord London e troverai diversi siti che danno indicazioni su persone (spesso adulte… o più che adulte) che affittano stanze nella propria casa.

Some of the most famous legends and fairytales were born by… a lie. Can a lie create a love, as well? Maybe… in London.

Download for free this very short love&travel novel

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3 – Lavora in teatro

Se vuoi fare un’esperienza londinese ma andare fuori dal tracciato dei soliti lavori del gap year all’estero (ristorante, negozio, ragazza/o alla pari), prova a cercare lavoro in teatro per un breve periodo.
Sul sito web di quasi tutti i teatri (e ricordo che il teatro è un’istituzione culturale importante e autonoma in Inghilterra),
nella  sezione “about us” , è possibile trovare la voce“work with us/ work placement /internship ”.
Queste sono delle vere e proprie bacheche regolarmente aggiornate che pubblicizzano annunci di lavoro, posizioni volontarie, esperienze di lavoro o borse di studio.

4 – fai la spesa nei market all’aperto

Londra ha tantissimi mercati all’aperto, settimanali e quotidiani. Vi si trova di tutto, dal cibo ai fiori, all’abbigliamento agli oggetti di arredamento vintage. I più famosi, come  Portobello e Covent Garden sono ovviamente da vedere, ma per gli acquisti su base regolare vi suggerirei di affidarvi ad altri, più consueti tra gli autoctoni come il Broadway Market e il Real Food market.

Cerca su wikipedia list of markets in London.

Cerca anche i farmers’ market e diventane assidua o assiduo cliente.

5 – Fotografa i passanti e leggi nei parchi 

Ci sono delle attività che si addicono particolarmente ad ogni città. A mio avviso, i migliori hobby low cost per vivere al meglio Londra sono:
– fotografare i passanti
– leggere nei parchi quando il tempo è bello
– leggere nei caffè quando il tempo è piovoso, aspettando con nostalgia che il tempo torni ad essere bello
– Leggere nei caffè accanto alla finestra e guardare i passanti. Possibilmente per ore.
Se credi che sia noioso, forse hai ragione. Ma credo che il valore della noia vada fortemente rivalutato.

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3 modi per usare la propria casa per viaggiare di più e low cost

Continuiamo a parlare del rapporto dicotomico (ma anche no) tra Viaggio  e Casa.

Se hai una casa di proprietà è possibile utilizzarla per viaggiare di più, meglio (ad esempio vivendo come una persona del luogo) e a costi più bassi.
Vediamo come, grazie a tre idee geniali venute negli ultimi anni al popolo del web.

1 – Home Restaurant
Il primo esempio lo devo alla cronaca e ai post virali degli ultimi giorni. Sappiamo ormai quasi tutti della tendenza che si sta diffondendo in Europa e piano (molto piano rispetto alla media europea ma molto velocemente rispetto alla velocità media italiana) anche in Italia del Home Restaurant.

Come asserito anche dal Sole24Ore, hanno poco a che fare con i guerrilla restaurant, al limite della clandestinità.
I ristoranti casalinghi, se seguono determinate e poche norme, sono legali, pagano un minimo di tasse e permettono a chi ne gestisce uno di guadagnare legalmente. Anzi, alcuni progetti sono anche appoggiati ufficialmente da istituzioni, come nel caso de Le Cesarine di Bologna, che hanno il patrocinio del Ministero delle politiche agricole.

Molti home restaurant sono nati e continuano  nascere registrandosi su Airbnb, altri si riuniscono in community o consorzi più o meno grandi con i quali è possibile scegliere date, menu, luogo ed effettuare i pagamenti direttamente on line.
Ad esempio, chi si vuole unire ad una cena casalinga su Roma può connettersi alla community Ceneromane. 

Per aprire un home restaurant non servono certificati sanitari. Se si tratta di attività lavorativa occasinale (sino a 5.000 euro all’anno) non serve partita iva.
Cercate una social community più vicino alla vostra area (ricerca in google es: ‘Home restaurant Palermo’ e chiedete se e come potervi unire a loro). Oppure aprite un vostro sito/blog con annessi social network.
Se serve ulteriore aiuto o consulenza su come divulgare la notizia e avere i primi clienti, contattatemi in privato 🙂

Quello che guadagnate potrebbe essere il budget del prossimo viaggio e un modo per stringere amicizie e contatti.

2 – Nightswapping
Si tratta della versione avanzata dei couchsurfing perché mentre questi ultimi sono per lo più autogestiti, il nightswapping ha dei requisiti precisi da rispettare in termini di letto, bagno e posto che si mette a disposizione dell’ospite.
Basato su un concetto unico di scambio di notti, il Nightswapping offre a privati, proprietari e affittuari la possibilità di andare in vacanza senza più pagare l’alloggio. Per ogni persona che si ospita, si guadagnano punti che permetteranno di soggiornare presso un altro nightswapper in un’altra parte del mondo.
A questa tipologia di scambio non partecipano solo giovani ma anche famiglie e pensionati; i criteri di feedback su ogni casa ospitante sono abbastanza ‘severi’.
In teoria non dovrebbero verificarsi gli inconvenienti in cui spesso si sono imbattuti giovani viaggiatori low budget che si aspettano un letto nel centro di Barcellona per poi trovarsi con una poltrona o un materasso a terra in un sottoscala.
Anche in questo caso la registrazione su un portale ufficiale di NIGHTSWAPPING è garanzia e garante (fate una ricerca in google usando questa parola chiave e scegliete quello che vi convince di più (cosmopolite home non è male, ed è il portale con più visite e recensioni).

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3 – scambio casa
Per i periodi più lunghi, lo scambio dell’abitazione è una soluzione ottima.
Hai una casa di proprietà e vuoi/devi andare per qualche mese in un’altro posto? In Nord Europa è molto diffusa la pratica dello SCAMBIO CASA, ovvero trovare una persona che ha necessità di spostamento nella tua città per un periodo simile al tuo, con la quale fare un vero e proprio scambio di abitazione.
Può essere un modo per ammortizzare i costi di soggiorno, cosa non da poco. Sulle bollette e i consumi, si possono (direi si devono) stringere degli accordi scritti basati sul consumo medio del proprietario nella propria casa. Esempio: io lo scorso anno da gennaio a maggio ho speso TOT di acqua, luce e gas. Chi viene a stare in casa non dovrà superare questa soglia, pena il rimborso degli esuberi. Se la casa che date è spesso disabitata, quindi con poco consumo, è possibile calcolare un deposito cauzionale forfaittario.
Per la gestione di questi accordi è meglio rivolgersi ad una delle agenzie on line che se ne occupano e non fare tutto da soli soprattutto se si tratta della prima esperienza.

Altre idee?

 

4 cose sui traslochi (per chi ne fa troppi) e le fasi di transito

Uno spazio che possa essere definito ‘casa’ è per me come una stanza per Virginia.
Un posto tutto mio, con tutto il mio ordine/disordine, rituali, punti di fuga.
Si va in giro per aspettare domani ed avere nostalgia?
Ecco, casa è il posto per avere nostalgia, almeno per me.

Ma ognuno ha il suo modo di vivere e percepire le fasi stanziali e anche la casa.
Ciò che accomuna il 79.4% delle viaggiatrici (e nel 26% dei casi  anche dei viaggiatori) che ho incontrato e avuto il tempo di conoscere abbastanza bene – dati ottenuti dal mio generatore automatico di percentuali – è una serie di effetti collaterali comuni ai traslochi e alle fasi transitorie tra un posto e l’altro, che per una serie di ragioni e atteggiamenti anacronistici ci si ostina a chiamare casa.

In dieci anni, ne ho cambiate sette. Nella fasi di transizione, quelle in cui tutta la propria vita è compressa in un numero limitato di pacchi e valigie, ho osservato alcuni dei seguenti aspetti:

1 – assenza a me stessa
Impossibile svolgere alcuna attività che richieda concentrazione e consapevolezza.
Dermatiti acute, irregolarità intestinale, capelli secchissimi.
Per quanto riguarda il lavoro, lo ammetto, non riesco a seguire i consigli su come ricreare più o meno ovunque l’ambiente lavorativo.

2 – sciatteria
Guardando il film Colazione da Tiffany, ho trovato adorabile il modo con cui il regista ha voluto tradurre ciò che nel libro di Capote era scritto sulla porta (o citofono) di Holly. ‘In transito’.
Quella casa è l’identità stessa di Holly. Una volta arredata e sistemata (quando lei si sta per sposare) perde ogni forma di eleganza. Patetico il tentativo dei costumisti di far perdere eleganza anche a Audrey, ma ci hanno provato.
Ogni eleganza per me è perduta nelle fasi vere di transito.
Quante valigie devo aprire prima di trovare i miei anellini e orecchini, prima di trovare quella gonna carina e quella giacca tanto bella? Quanta entropia (ulteriore) si dovrà generare?
Troppe valigie, troppa entropia. Troppo tempo.
Terrò questi due jeans e queste tre megliette/maglioni sinchè questo inferno non sarà finito

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3 – giri vorticosi nel vuoto
Non si tratta di una metafora. Parlo proprio dei giri su me stessa guardando nel vuoto alla ricerca delle chiavi/cappello/macchina fotografica/penna che saranno nella borsa usata stamattina o nel pacco aperto ieri? Boh.

Spesso tutto è in tasca. Le tasche che già di abitudine sono dei buchi neri, in questi periodi sempre troppo lunghi diventano dei contenitori insostituibili di tutte le cose indispensabili.
Anche se alla fine me ne dimentico sempre e sono sempre l’ultimo posto in cui controllo.

 

4 – pacchi che restano chiusi
Avete mai notato che dopo ogni trasloco salta fuori un pacco che non avevamo visto e quindi riaperto?
E che cosa ci sarà lì dentro? (perché nella fretta di ogni cambio casa, figurati se si scrive sui pacchi che cosa c’è dentro… tanto sono solo due o tre scatole).
Di certo nulla di indispensabile visto che ho già sistemato tutto quello che mi serve.
Quindi restano da qualche parte, fermi. In un ripostiglio o garage, in un porta tuttoeniente dell’IKEA, assieme a buste cartonate in cui ci sono le cose uscite dalle varie case, cui non eravamo pronte a rinunciare perché troppo prese dalla fretta di ricreare casa in un altro posto.

Sono certa che potrei arrivare a sette, almeno.
Ma sono in un posto piccolo, circondata di pacchi e polvere, in attesa di trasferirmi nell’ennesimo posto erroneamente chiamato casa.
Non sono né ispirata né presente a me stessa.
E fosse per me, ora come ora, farei un rogo con tutti questi pacchi. Tanto le cose indispensabili sono sempre tutte fuori.

 

10 motivi per NON aprire una pagina facebook

Utili, ma non sempre.
Necessarie, quasi mai.
Numericamente quasi invalidanti.
Avere una pagina in facebook a volte è addirittura deleterio per la tua attività. Vediamo insieme perché, in 5 esempi.

spam_facebook#1 – Utilità
Quale utilità ha la pagina che stai per aprire?
Vendita di scarpe on line dal tuo sito? Allora ok, vai pure. Lì fuori è pieno di gente che ama acquistare on line e la segnalazione di buone offerte sulla tua pagina può nel suo piccolo essere di aiuto.
Ma se la tua pagina serve per promuovere orecchini che non vendi on line, eventi che organizzi in un territorio limitato, un solo ed unico prodotto (come un libro), la tua attività di pittore sul quale postare miriadi di foto in diverse angolazioni… forse non è il caso di sprecare energie. Non perché non sia interessante, ma perché esistono altri modi per promuovere un singolo prodotto e una singola attività via facebook o sui social network. Persino un blog o una piccola App gratuita è più utile (oggi se ne possono creare con pochissimi click e a costi davvero irrisori).

#2 – A te le pagine piacciono? Le segui (davvero)?
Persone che stimo molto mi hanno detto: Se un problema è tuo, è molto probabile che sia anche degli altri o comunque di molta altra gente.
Ognuno di voi ha ricevuto negli ultimi mesi almeno 3 inviti a mettere un like su una pagina. Alcuni inviti li avete ignorati, altri accettati ma escludendo le notifiche, almeno dopo i primi tre post sparati nell’arco di 24 ore.
Se lo avete fatto voi, mettete in conto che lo facciano molte altre persone.
Se amate le pagine fb e le apprezzate tutte, createne una o dieci tutte vostre.
Se così non è… perché propinare ad altri qualcosa che a voi interessa poco?

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#3 – Rapporto matematico
Tutti abbiamo una sola identità (per chi ha più di un profilo personale, ci sono buoni medici). Ma molti di noi, per fortuna, hanno diversi interessi e un’attività in proprio. Se io creassi una pagina per In My Suitcase, una pagina dedicata al mio ultimo romanzo (e per par condicio anche ai primi due) e ovviamente alla mia attività professionale di blogger, consulente social media e traduttrice, avrei dalle tre alle sei pagine. Tutte per altro utili quanto le bomboniere dei matrimoni.
Seguendo l’andazzo attuale del ‘creo una pagina per ogni mio respiro’ avremmo nel giro di pochi anni un rapporto persone pagine di 1 a 3. Non è gestibile né tollerabile. E l’effetto sarà quello della sensazione di spamming di cui al punto #2.

#4 – We don’t need another logo. 
Pensiamo ad una cosa: chi ci segue su faccialibro? Chi ci conosce, chi ha condiviso pezzi di vita con noi e non vuole perdere le nostre tracce, chi ci stima, chi ci ama, chi ogni tanto ama farsi i fatti nostri.

Bene, non è meglio comunicare i contenuti che ci riempiono la vita direttamente con loro dal nostro profilo personale?
Esempio; apri un sito sulla tua attività di giornalista. Crei un blog in cui ne parli, periodicamente condividi pezzi e pagine del tuo sito (quello non può mancare) sul tuo profilo personale.
I tuoi amici o conoscenti lo commenteranno facendoti restare algoritmicamente in evidenza sulle wall di altri tuoi contatti e loro contatti, altri lo apprezzeranno e condivideranno (oppure anche no, ma almeno molte più persone più o meno note sapranno cosa fai nella vita).
Tenete a mente che il 76% dei contenuti che diventano virali NON partono da una pagina ma da un profilo personale. Ecco, pensiamoci.

Ah…
Per favore, non dite e non pensate alla frase ‘preferisco dividere vita privata e lavoro’!! Vi ricordo che il nostro profilo personale di facebook è PUBBLICO (indipendentemente dalle impostazione della privacy che usiamo, molte persone lo possono vedere).
Resta una faccenda pubblica anche se mettiamo cose strettamente intime.

Lavorare viaggiando – come ricreare l’ambiente lavorativo

Nella rosa dei lavoratori più fortunati (spesso non dal punto di vista economico, c’è da dirlo) ci sono quelli che lavorano viaggiando.
Questi si dividono in due tipologie:
1 – coloro che possono lavorare ovunque in quanto ‘free-lance’ (o lavoratori autonomi da postazione remota);
2 – coloro che devono spostarsi per lavoro, come i free-lance che hanno clienti fuori dal proprio territorio di residenza, i fotografi e le fotografe che devono fare reportage lontano da casa, professionisti che partecipano a fiere internazionali ecc.

Per entrambe queste categorie, il problema organizzativo non è solo relativo agli spostamenti e ai biglietti, tanto meno solo alla scelta del bagaglio normale o capsulare. Questa tipologia di lavoratrici e lavoratori ha anche a che fare con la necessità di ricreare un ambiente di lavoro decente.

Come fare quindi per ri-creare ritmi e l’ordine (o il disordine) del proprio ufficio o della propria postazione anche altrove?

Ecco alcune massime per il lavoratore migratorio.

1 – Non di solo computer vive un free lance
Crediamo spesso che il nostro universo lavorativo ruoti solo attorno a quel rettangolo apribile, ma non  è così. La nostra concentrazione in realtà viene coadiuvata da altri piccoli riti e oggetti che fanno parte della nostra vita lavorativa:
Dal taccuino con TUTTI gli appunti, le note e gli schizzi che facciamo mentre parliamo al telefono o durante le sessioni in skype con colleghi e collaboratori, al cuscinetto anti-infiammazione al tunnel carpale, se stanno in valiga, portiamoli con noi.
Affidiamoci ad altri oggetti che possano diventare punti fermi, non solo per avere delle piccole comodità simili a quelle di casa, ma anche per aiutarci nella concentrazione.
No ad appunti su fogli volanti presi in hotel, no ai post-it messi dove capita, no al telefono in borsa da recuperare solo se suona.   , invece, alle agende fedelissime o ai mouse-pad in carta, che fungono anche da calendario e blocco per gli appunti.

2 – Se la carta esiste dal 3000 ac, ci sarà un motivo. 
Personalmente, dico anche NO alle note prese direttamente sul computer. Il motivo è semplice e pratico: chi lavora da remoto 8 volte su 10 lavora anche dal telefono, tra uno spostamento e l’altro. Meglio annotare appunti e scadenze sempre sullo stesso supporto. (I possessori di apparati Apple mi diranno che quello che ho sul pc lo trovo anche sul telefono e Ipad. Ma sti cazzi! Io mi riferisco alla concentrazione che dà l’avere sempre con sé lo stesso supporto. Già siamo migranti, almeno affidiamoci a piccoli spazi che possano sostituire la casa/ufficio che emotivamente non avremo mai)
Scrivere una nota sul post it elettronico e l’altra sul cellulare crea disordine, anche se esistono dispositivi in grado di unire i dati di computer e smartphone, la carta vince sempre, ancora.
Per altro, se fossimo stati tanto organizzati da poter gestire gli appunti su più dispositivi, sincronizzando (e controllando la sincronizzazione) di tutti i tuoi strumenti di lavoro… probabilmente adesso avremmo un lavoro serio, con un ufficio serio e uno stipendio serio.

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3 – Adattamento non vuol dire martirio
La nostra scrivania, lo sappiamo, non può venire con noi. E neanche la nostra sedia anti cervicale. Men che mai il massaggiatore di piedi tibetano, ma made in China, appoggiato sotto la scrivania di casa. Ma da questo a dover lavorare rannicchiate su uno sgabello senza una gamba, mentre un roditore si rifà i denti sulle nostre unghie dei piedi ce ne passa!
Cercate un hotel o un ristorante con wi-fi o uno spazio di co-working che almeno abbia tavoli spaziosi e puliti e sedie/divanetti comodi. Già il lavoro e la vita sanno essere una valle di lacrime… cerchiamo di volerci bene nei limiti delle nostre possibilità.

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4 – Spazio solare ma serio. 
Che tu decida di lavorare in un co-wo, sul letto dell’hotel o sul terrazzino assolato di una sala conferenze, togli le cose che possono distrarti o trasmetterti un senso di disordine.
Se sei sul letto, togli i vestiti ancora pieni di fumo, alcol e vomito della sera prima. E magari fai uscire cortesemente il tuo amante se ci sta ancora dentro.
Se sei sulla scrivania, elimina rossetti, vibratori, biglietti del tram, guide turistiche con segnalibro nel prossimo museo che non vedi l’ora di vedere. Finisci il tuo stupido report/articolo/traduzione e dopo ci penserai.

5 – Mind the desktop
Le sole cose che puoi portare con te ovunque, sempre uguali, sono i dati sul tuo computer o i dati su Cloud. Per questo è importante che tutte le cartelle di lavoro siano e restino in ordine.
Consiglio anche ai disordinati e alle disordinate compulsive come me di fare un po’ di ordine sul desktop prima di partire. Il disordine nel quale vi orientate benissimo prima di partire non sarà vissuto allo stesso modo quando sarete via, e il rischio di non trovare subito dati precedentemente salvati sarà più alto, perché in viaggio la mente è presa da altre priorità più essenziali, come il ricordarsi dove si potrà trovare un market aperto alle due di notte, dove si spegne il riscaldamento e come non farsi arrestare in terra straniera.
Quello che a casa è ovvio, in viaggio passa automaticamente in secondo piano. Anche il ricordare in quale sotto-cartella hai nascosto il report da mandare entro due ore.

 

3 motivi + 1 per partire con una reflex analogica

Sono esemplari pieni di immensa, inesauribile poesia!
Appartengono alla quotidianità di neanche due decadi fa, eppure esistono esemplari di genere umano alte più di un metro e settanta con diritto di voto che non le hanno mai usate e non saprebbero neanche come maneggiarle.

Sono le reflex analogiche!
Pesantissime, ci permettono di vedere le nostre foto solo dopo lo sviluppo, lungo e anche costoso.
Eppure ci sono dei buoni motivi per riprenderle in mano e portarle con noi nel prossimo viaggio. Eccone alcuni.

1 – Sono belle. 
Non mi rompete le palle con la faccenda del ‘de gustibus’. Ci sono cose belle e basta, come i vecchi quaderni in copertina monocolore, come la Vespa, come le scarpe col tacco. E come le macchine fotografiche reflex analogiche, soprattutto se fabbricate negli anni Settanta. Viaggiare con un oggetto bello rende il viaggio più bello.

2 – Fanno la differenza.

Come su accennato, un’intera generazione non sa nemmeno cosa sia e come si maneggi un rullino. Come si riavvolge, come si estrae, come si sviluppa. Conoscerlo e riscoprirlo vuol dire segnare la differenza tra ciò sanno fare i nativi digitali e ciò che sappiamo fare noi, che ci collochiamo goffamente nell’età della ragione.
Noi, che non sappiamo neanche se avremo una pensione, sappiamo usare il progresso, ma all’evenienza sappiamo anche decrescere, ricomplicarci la vita riappropriandoci della sua materialità.
Una foto è un attimo da tenere in mano, in un album e in una scatola. Non solo su un supporto elettronico.foto (2)

3 – L’attesa.
Ricordo le gite di scuola media e superiore. Quando non avevo una macchina fotografica mia, ma mio padre mi affidava una delle sue.
Era impensabile per me (per noi della nostra famiglia) viaggiare senza macchina fotografica: come andare sulla neve senza cappotto, al mare senza costume, al ristorante senza appetito.

I momenti più elettrizzanti del viaggio, anche per questi motivi, erano 3:
il giorno prima di partire, il giorno prima di tornare, il giorno dell’appuntamento dal fotografo per lo sviluppo del rullino/dei rullini.

Potevano venir fuori dei disastri di arte contemporanea (come le porcherie fotografiche del mio primo viaggio da sola, a Londra), o dei primi lavori soddisfacenti, in cui almeno si distinguevano bipedi da quadrupedi, come dopo il viaggio di lavoro a Parigi alla ricerca di ciò che resta degli antichi caffè letterari. 

blogger crisi creativa

+1 – riscoperta
Quando le reflex non erano economicamente accessibili a tutti come adesso, erano una sorta di patrimonio di famiglia o personale, perché raggiunto a seguito di piccole rinunce. Averla in affidamento era una questione di fiducia. Riportarla a casa era questione di responsabilità.
Ritrovarne una nella propria cantina o in un vecchio armadio equivale a ritrovare qualcosa che un tempo era un costoso bene da custodire.

Inoltre, conosco fotografe e fotografi molto brave e bravi, forti sostenitori dell’assunto secondo cui la qualità della foto ben sviluppata sia sempre anni luce superiore a quelle stampate da scatto con analogica (ovviamente a parità di qualità della foto).

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Barbante, De Luca, Kundera

Lorenzo Gasparrini dice qualcosa su tre romanzi adatti ad ogni viaggio. Soprattutto alle fasi stanziali (sempre di viaggio).

Trotzdem [Nonostante]

Da molti mesi ormai leggo solo saggi – questioni di aggiornamento professionale, che volete farci – e non di argomento letterario. Il tempo se ne va così, e mi tocca ringraziare chi aspetta pazientemente che io legga le sue cose, o gli amici che mi suggeriscono titoli che io riesco a farmi regalare (nuovi) a mesi di distanza. Prometto che ricomincerò a scavare meglio nella mia libreria. Tanto, son promesse da critico letterario.

Sabrina Barbante, Diversamente a Sud, Roma, Vertigo Edizioni, 2014; 164 pp., euro 13.00, cm 21×13,5, copertina in cartoncino ruvido, carta semiruvida di media qualità.

La trama, per sommi capi. Viola torna nel suo Salento dopo anni milanesi, e come se non bastasse questa doppiezza, ne affronta molte altre: due amori, due genitori, due amici, due amiche, due corpi e due pensieri, cercando continuamente di non farsi sfuggire quelle sfumature che sa apprezzare nel vino, nel…

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