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10 motivi per NON aprire una pagina facebook

Utili, ma non sempre.
Necessarie, quasi mai.
Numericamente quasi invalidanti.
Avere una pagina in facebook a volte è addirittura deleterio per la tua attività. Vediamo insieme perché, in 5 esempi.

spam_facebook#1 – Utilità
Quale utilità ha la pagina che stai per aprire?
Vendita di scarpe on line dal tuo sito? Allora ok, vai pure. Lì fuori è pieno di gente che ama acquistare on line e la segnalazione di buone offerte sulla tua pagina può nel suo piccolo essere di aiuto.
Ma se la tua pagina serve per promuovere orecchini che non vendi on line, eventi che organizzi in un territorio limitato, un solo ed unico prodotto (come un libro), la tua attività di pittore sul quale postare miriadi di foto in diverse angolazioni… forse non è il caso di sprecare energie. Non perché non sia interessante, ma perché esistono altri modi per promuovere un singolo prodotto e una singola attività via facebook o sui social network. Persino un blog o una piccola App gratuita è più utile (oggi se ne possono creare con pochissimi click e a costi davvero irrisori).

#2 – A te le pagine piacciono? Le segui (davvero)?
Persone che stimo molto mi hanno detto: Se un problema è tuo, è molto probabile che sia anche degli altri o comunque di molta altra gente.
Ognuno di voi ha ricevuto negli ultimi mesi almeno 3 inviti a mettere un like su una pagina. Alcuni inviti li avete ignorati, altri accettati ma escludendo le notifiche, almeno dopo i primi tre post sparati nell’arco di 24 ore.
Se lo avete fatto voi, mettete in conto che lo facciano molte altre persone.
Se amate le pagine fb e le apprezzate tutte, createne una o dieci tutte vostre.
Se così non è… perché propinare ad altri qualcosa che a voi interessa poco?

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#3 – Rapporto matematico
Tutti abbiamo una sola identità (per chi ha più di un profilo personale, ci sono buoni medici). Ma molti di noi, per fortuna, hanno diversi interessi e un’attività in proprio. Se io creassi una pagina per In My Suitcase, una pagina dedicata al mio ultimo romanzo (e per par condicio anche ai primi due) e ovviamente alla mia attività professionale di blogger, consulente social media e traduttrice, avrei dalle tre alle sei pagine. Tutte per altro utili quanto le bomboniere dei matrimoni.
Seguendo l’andazzo attuale del ‘creo una pagina per ogni mio respiro’ avremmo nel giro di pochi anni un rapporto persone pagine di 1 a 3. Non è gestibile né tollerabile. E l’effetto sarà quello della sensazione di spamming di cui al punto #2.

#4 – We don’t need another logo. 
Pensiamo ad una cosa: chi ci segue su faccialibro? Chi ci conosce, chi ha condiviso pezzi di vita con noi e non vuole perdere le nostre tracce, chi ci stima, chi ci ama, chi ogni tanto ama farsi i fatti nostri.

Bene, non è meglio comunicare i contenuti che ci riempiono la vita direttamente con loro dal nostro profilo personale?
Esempio; apri un sito sulla tua attività di giornalista. Crei un blog in cui ne parli, periodicamente condividi pezzi e pagine del tuo sito (quello non può mancare) sul tuo profilo personale.
I tuoi amici o conoscenti lo commenteranno facendoti restare algoritmicamente in evidenza sulle wall di altri tuoi contatti e loro contatti, altri lo apprezzeranno e condivideranno (oppure anche no, ma almeno molte più persone più o meno note sapranno cosa fai nella vita).
Tenete a mente che il 76% dei contenuti che diventano virali NON partono da una pagina ma da un profilo personale. Ecco, pensiamoci.

Ah…
Per favore, non dite e non pensate alla frase ‘preferisco dividere vita privata e lavoro’!! Vi ricordo che il nostro profilo personale di facebook è PUBBLICO (indipendentemente dalle impostazione della privacy che usiamo, molte persone lo possono vedere).
Resta una faccenda pubblica anche se mettiamo cose strettamente intime.

Lavorare viaggiando – come ricreare l’ambiente lavorativo

Nella rosa dei lavoratori più fortunati (spesso non dal punto di vista economico, c’è da dirlo) ci sono quelli che lavorano viaggiando.
Questi si dividono in due tipologie:
1 – coloro che possono lavorare ovunque in quanto ‘free-lance’ (o lavoratori autonomi da postazione remota);
2 – coloro che devono spostarsi per lavoro, come i free-lance che hanno clienti fuori dal proprio territorio di residenza, i fotografi e le fotografe che devono fare reportage lontano da casa, professionisti che partecipano a fiere internazionali ecc.

Per entrambe queste categorie, il problema organizzativo non è solo relativo agli spostamenti e ai biglietti, tanto meno solo alla scelta del bagaglio normale o capsulare. Questa tipologia di lavoratrici e lavoratori ha anche a che fare con la necessità di ricreare un ambiente di lavoro decente.

Come fare quindi per ri-creare ritmi e l’ordine (o il disordine) del proprio ufficio o della propria postazione anche altrove?

Ecco alcune massime per il lavoratore migratorio.

1 – Non di solo computer vive un free lance
Crediamo spesso che il nostro universo lavorativo ruoti solo attorno a quel rettangolo apribile, ma non  è così. La nostra concentrazione in realtà viene coadiuvata da altri piccoli riti e oggetti che fanno parte della nostra vita lavorativa:
Dal taccuino con TUTTI gli appunti, le note e gli schizzi che facciamo mentre parliamo al telefono o durante le sessioni in skype con colleghi e collaboratori, al cuscinetto anti-infiammazione al tunnel carpale, se stanno in valiga, portiamoli con noi.
Affidiamoci ad altri oggetti che possano diventare punti fermi, non solo per avere delle piccole comodità simili a quelle di casa, ma anche per aiutarci nella concentrazione.
No ad appunti su fogli volanti presi in hotel, no ai post-it messi dove capita, no al telefono in borsa da recuperare solo se suona.   , invece, alle agende fedelissime o ai mouse-pad in carta, che fungono anche da calendario e blocco per gli appunti.

2 – Se la carta esiste dal 3000 ac, ci sarà un motivo. 
Personalmente, dico anche NO alle note prese direttamente sul computer. Il motivo è semplice e pratico: chi lavora da remoto 8 volte su 10 lavora anche dal telefono, tra uno spostamento e l’altro. Meglio annotare appunti e scadenze sempre sullo stesso supporto. (I possessori di apparati Apple mi diranno che quello che ho sul pc lo trovo anche sul telefono e Ipad. Ma sti cazzi! Io mi riferisco alla concentrazione che dà l’avere sempre con sé lo stesso supporto. Già siamo migranti, almeno affidiamoci a piccoli spazi che possano sostituire la casa/ufficio che emotivamente non avremo mai)
Scrivere una nota sul post it elettronico e l’altra sul cellulare crea disordine, anche se esistono dispositivi in grado di unire i dati di computer e smartphone, la carta vince sempre, ancora.
Per altro, se fossimo stati tanto organizzati da poter gestire gli appunti su più dispositivi, sincronizzando (e controllando la sincronizzazione) di tutti i tuoi strumenti di lavoro… probabilmente adesso avremmo un lavoro serio, con un ufficio serio e uno stipendio serio.

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3 – Adattamento non vuol dire martirio
La nostra scrivania, lo sappiamo, non può venire con noi. E neanche la nostra sedia anti cervicale. Men che mai il massaggiatore di piedi tibetano, ma made in China, appoggiato sotto la scrivania di casa. Ma da questo a dover lavorare rannicchiate su uno sgabello senza una gamba, mentre un roditore si rifà i denti sulle nostre unghie dei piedi ce ne passa!
Cercate un hotel o un ristorante con wi-fi o uno spazio di co-working che almeno abbia tavoli spaziosi e puliti e sedie/divanetti comodi. Già il lavoro e la vita sanno essere una valle di lacrime… cerchiamo di volerci bene nei limiti delle nostre possibilità.

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4 – Spazio solare ma serio. 
Che tu decida di lavorare in un co-wo, sul letto dell’hotel o sul terrazzino assolato di una sala conferenze, togli le cose che possono distrarti o trasmetterti un senso di disordine.
Se sei sul letto, togli i vestiti ancora pieni di fumo, alcol e vomito della sera prima. E magari fai uscire cortesemente il tuo amante se ci sta ancora dentro.
Se sei sulla scrivania, elimina rossetti, vibratori, biglietti del tram, guide turistiche con segnalibro nel prossimo museo che non vedi l’ora di vedere. Finisci il tuo stupido report/articolo/traduzione e dopo ci penserai.

5 – Mind the desktop
Le sole cose che puoi portare con te ovunque, sempre uguali, sono i dati sul tuo computer o i dati su Cloud. Per questo è importante che tutte le cartelle di lavoro siano e restino in ordine.
Consiglio anche ai disordinati e alle disordinate compulsive come me di fare un po’ di ordine sul desktop prima di partire. Il disordine nel quale vi orientate benissimo prima di partire non sarà vissuto allo stesso modo quando sarete via, e il rischio di non trovare subito dati precedentemente salvati sarà più alto, perché in viaggio la mente è presa da altre priorità più essenziali, come il ricordarsi dove si potrà trovare un market aperto alle due di notte, dove si spegne il riscaldamento e come non farsi arrestare in terra straniera.
Quello che a casa è ovvio, in viaggio passa automaticamente in secondo piano. Anche il ricordare in quale sotto-cartella hai nascosto il report da mandare entro due ore.

 

Dormi, mangia, blogga. Come superare le crisi creative.

Ho già detto due o tre cose sul lavoro di blogger (come campa, cosa fa, chi li manda e chi li paga).

Ora veniamo ad una delle difficoltà dei blogger in generale e del business & travel blogger in particolare.
La crisi creativa riguarda tutti i lavori, non solo quelli ‘creativi’ per definizione. Ma la sindrome del figlio bianco e la carenza di idee può riguardare ancor più spesso il creativo che lavora in solitudine, da remoto (termine azzeccatissimo).

Veniamo alle soluzioni per le due specificità di blogger:

Business blogger e i blog aziendali.
IMG_0378.JPGCi sono personaggi che curano i contenuti dei blog delle aziende per aiutarle nell’aumento del traffico e quindi nelle vendite e nella web reputation.
In questo caso una crisi creativa può venire dalla difficoltà di trattare spesso di argomenti specifici e talvolta molto tecnici.

soluzioni possibili:

1- consultare le statistiche e le analisi del traffico per capire quali argomenti, pagine e prodotti sono in deficit di visite. Le parole chiave di questi argomenti possono (per questioni di SEO devono) essere titolo del nuovo articolo. E con un buon titolo si è già a metà dell’opera.

2 – auto plagio.
Anche ripetere qualcosa che si è già scritto, modificando o parafrasando un paragrafo da un precedente articolo, non solo è un buon viatico al blocco creativo ma è anche un modo per riportare traffico a precedenti pezzi.

3 – studio e appunti per prevenire la crisi creativa.
Le idee e l’ispirazione sono come l’apocalisse: non sai mai quando arrivano ma bisogna essere pronte. Quando si studia e si cercano articoli sull’argomento del blog o sui prodotti del cliente (cosa da fare almeno tre o quattro ore a settimana) , tenete sempre accanto un blocchetto per prendere appunti perché tutto tornerà utile per il prossimo pezzo calendarizzato.

Travel blogger

Difficile inventare pezzi nuovi e utili, soprattutto quando non si fanno grandi viaggi per un po’. Ovviamente tenere il blog non aggiornato non si può, o meglio, si può ma a me non piace. (Leggi anche, giusto mantenere la calma, queste Pillole per blogger sociopatici) .

Ecco alcune soluzioni:

1 – Riprendi un precedente articolo su un precedente viaggio e amplia un punto in particolare. Esempio in un articolo come questo (3 cose che non ti diranno su Budapest) potrei potenzialmente scrivere un articolo su ognuno di questi tre elementi (e credo che lo farò).

blogger crisi creativa2 – Parti da una foto.
Non sottovalutare il potenziale di una foto fatta durante un viaggio!
Rivedendo vecchie immagini è possibile far nascere una storia, soprattutto se le foto sono particolarmente originali.
Un articolo può anche essere un foto-articolo: molte immagini e poco testo. Attenti però alla parte SEO e alle parole chiave!

3 – Parti dal titolo… con un aiutino.
Personalmente amo sfidare la crisi creativa insieme al buon senso e a volte anche il buon gusto usando Portent, un generatore automatico di titoli ironici, assurdi, SEO oriented. Faccio una prova, inserisco PARIS nelle parole chiave ed ecco cosa esce come primo risultato: PARIS TABOOS YOU SHOULD BREAK.
E credo che inizierò a scrivere questo articolo…

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Quali sono i migliori paesi per vivere da freelance?

Tasse, sistema, mentalità. Tasse e poi ancora tasse.
Sono molti i freelance (lavoratori autonomi da postazione remota) cui sento spesso esprimere il desiderio di andare via, altrove a realizzare la propria vita lavorativa.
Ma rispondere alla domanda ‘Bene, allora andiamocene. Ma dove?’ è tutt’altro che semplice, perché se la volontà  è quella di ovviare ad un sistema fiscale troppo oneroso, bisogna studiare e conoscere quelli degli altri paesi.

Cercando informazioni, propongo un po’ di destinazioni:

valigia-libriMalta.
Il sistema fiscale a Malta è stato concepito in maniera tale da favorire gli investimenti provenienti da paesi stranieri. Dall’aliquota d’imposta progressiva per le persone fisiche (che non supera il 35%) alle procedure amministrative semplici, i punti di forza del sistema fiscale sono diversi. Nessuna trattenuta fiscale, l’iva al 18% e un sistema previdenziale equo; a Malta, se sei un lavoratore autonomo verserai provvisoriamente le tue tasse (secondo l’aliquota corrispondente al tuo reddito) durante il corso dell’anno, in 3 rate, più il 15% per la Social Security, ovvero le tasse per il mantenimento dello stato sociale.

organizzare-bagagli-e-valigie12Ukraina, Repubblica Ceca, Montenegro.

Ecco la sorpresa numero 2. L’Ucraina è tra le più popolari mete di freelance espatriati, e tantissimi sono i lavoratori ucraini da remoto che guadagnano dall’estero restando in patria.
Gli affitti (di case e uffici) sono bassissimi se paragonati al resto d’Europa, come bassissime sono le tariffe delle bollette di luce e internet. Idem per il Montenegro, che viene gradualmente scoperto anche nelle sue bellezze naturali e non.
Anche la Romania e la Repubblica Ceca sono posti dove è conveniente spostare la propria attività, tanto più se si lavora per clienti esteri, quindi con tariffe del Nord e Centro Europa o degli USA e tasse locali.
Per capirci, in Europa bisognerebbe avere clienti di Belgio e Lussemburgo, lavorando e pagando le tasse in Ucraina, Montenegro e Repubblica Ceca.

Quanto sia complesso decidere dove andare a f…are il proprio mestiere, lo si evince da una ricerca fatta lo scorso giugno dal blogger Jassie Nickles;  attraverso un sistema di calcolo, il blogger ha stilato l’elenco dei migliori paesi da suggerire ai freelance includendo nell’algoritmo
– sicurezza nella gestione degli affari,
– apertura degli autoctoni,
– costo della vita.
Ne è venuto fuori un elenco che ha in cima Macedonia, Georgia, Emirati Arabi Uniti, Marocco, Hong Kong, Montenegro, Malta, Taiwan ed Etiopia.

Lo stesso Nickles era perplesso: ha quindi deciso di ampliare la ricerca con interviste ad amici emigrati e decidendo arbitrariamente di escludere i luoghi in cui vige la Sharia, e di includere i luoghi in cui vi sia un buon sistema di assistenza sanitaria.
Il nuovo elenco vede ai primi dieci posti Emirati Arabi Uniti, Portogallo, Hong Kong, Estonia, Taiwan, Malesia, Quatar, Oman, Porto Rico e Spagna. 
La Spagna è tra i paesi europeibcon il costo della vita più basso (escludendo Madrid e Barcellona) ma dove un autonomo deve versare una base mensile di 280 euro per l’assistenza sociale.

Insomma, se si va via, non può essere solo per una questione di tasse. Bisogna prendere in considerazione tantissime variabili, molte delle quali personali, che definiscono cosa ha un costo e cosa ha un valore nella propria definizione della qualità del lavoro e della vita.

Io, ad esempio, sarei disposta a pagare persino più tasse in cambio di un paese con un’alta etica del lavoro e con buoni servizi sociali.

Per leggere la ricerca di Jassie Nickles:
http://www.collegetimes.tv/best-countries/

FREELANCE LIFE IN 15″ – VIDEO EPISODE 3 – me and the #MOBILE

What happens when you finally think you got rid of all the work calls, skype calls, e-mail, sms?

Che succede quando finalmente credi di esserti liberata dalle chiamate, skypate, e-mail e sms?

La verità sul lavoro di ‘blogger’.

Di cosa campano? Chi li paga? Lavorano davvero dove e quando vogliono?

La rete è piena di articoli con ottimi consigli su come  diventare un Travel Blogger, o un blogger in generale.

Decisamente un lavoro affascinante. Scrittura, autonomia [e già qui siamo in un concetto relativo], occuparsi dei propri interessi [ehm, no, anche qui è il caso di discutere].
Insomma, intorno a questo nuovo tipo di lavoratori digitali , visti più come figure mitologiche che professionali, ruotando domande senza precise risposte e anche molti miti da sfatare.

How-to-Become-a-Freelance-WriterScendiamo nel dettaglio e vediamone alcuni insieme.

1 – Di che cosa campa un blogger?
Vi diranno che  Fashion Blogger e Travel Blogger sono i più richiesti, quelli che riescono anche a campare solo di blogging e ad avere inserzioni pubblicitarie. Non è propriamente vero. Anzi, è un po’ come dire che tutte le ballerine di danza classica riescono a mantenersi con la loro attività di danzatrici.
Il blogger anzi tutto non guadagna solo dal proprio blog e scrive anche per quelli di altre aziende, dietro compenso. Questo lo farà se il cliente lo ritiene bravo, ovviamente.
Come un giornalista, un blogger non deve necessariamente essere super competente in merito agli argomenti richiesti dal cliente. Basta che abbia voglia di:

– studiare nuovi argomenti
– renderli (e renderseli) interessanti
– saperli raccontare.
– saperli e poterli condividere sui social. (Per un blogger di professione, ogni follower su uno dei propri social è potenziale fonte di credibilità verso il prossimo cliente).
Poi, il blogger scrive anche sul suo blog personale, che serve a volte come vetrina, altre come sfogo, altre come ulteriore fonte di guadagno.
Quest’ultima possibilità dipende soprattutto dal numero delle visite al suo blog, ed è per questo che in genere i fashion blogger e i travel blogger hanno più possibilità: trattano argomenti di interesse molto generale e trasversale.

2 – libertà
Possono lavorare dove vogliono e quando vogliono! La libertà non ha prezzo.
Ecco, anche su queste due frasi (spesso dette anche sui free-lance in genere) c’è molto di cui parlare.
La verità è che i lavoratori digitali da postazione remota (che fa meno figo di free-lance e blogger ma che definisce meglio la tipologia di lavoro), lavorano quando DEVONO e dove POSSONO.

Al cliente interessa poco che tu sia in un villaggio vacanze o sulla punta di un iceberg. Devi avere una connessione e fare il tuo dovere.
Ecco una galleria di posti in cui ho recentemente lavorato.


Veniamo alla ‘libertà’ di orari. Se le scadenze si susseguono in maniera regolare, tutto ok, basta essere organizzati. Si può iniziare a lavorare al mattino alle 10.00 o alle 8.00 sorseggiando caffè in pigiama. Ma se, ad esempio, tutti i clienti sono in fase di progettazione, eventi, cambiamenti da promuovere, potresti trovarti ad iniziare a lavorare alle 4.00 di mattina per poter finire alle 20.00 dal momento che alle 21.00 devi essere all’evento a fare foto. (perché, come in tutti i lavori fatti bene, non ci si può limitare a fare solo quanto scritto nell’accordo, bisogna andare oltre. Ma questo rientra nell’etica professionale personale).

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3 – Basta uno smartphone.
No, non è vero. Serve un Iphone. Non amo fare pubblicità a marchi che non ne hanno bisogno e che non mi danno una lira, ma non posso esimermi. Quando avevo uno SmartPhone Samsung controllavo cose. Da quando mi hanno regalato un Ip4, lavoro dal cellulare.
Non ho neanche più bisogno del tablet; salvo alcune tipologie di aggiustamenti on line, si può fare il blogger dal telefono. Anche nel caso del tablet, se non è Apple meglio lasciar perdere.
Almeno, nel mio caso con il passaggio all’infame mela morsa, si è del tutto cambiato universo.

4 – Il mondo dei blog è in declino/è morto
Avere un sito web e non avere un blog all’interno dello stesso è come avere una vetrina e tenere le saracinesche abbassate e nessun’insegna. Il web è una piazza stracolma di marchi, siti, negozi on line. I blog costantemente aggiornati servono alle aziende per salire di posizione nei motori di ricerca ed essere trovati dagli utenti che ancora non li conoscono.
Persino una pagina facebook è del tutto inutile senza delle notizie fresche da condividere almeno una volta a settimana.
Ed è inutile che tali notizie vengano scritte direttamente come post sulla pagina facebook, perché quest’ultima deve servire a portare traffico sul sito, dal momento che è da lì che si vende.
Per questo serve un blog con articoli freschi che possano interessare più gente possibile, possibilmente in più paesi (ergo, meglio blog in doppia lingua) da condividere sui social.
I blogger fanno anche questo.

In breve, il blogger lavora non dove vuole ma ovunque debba,
deve studiare, studiare, studiare. Meglio se anche (in) altre lingue.
Fa spesso le ore piccole.

Ora che la fiaba e il mito sono interrotti, spezzati, distrutti, sei sicuro di non voler fare l’impiegata/o?

#FreelanceLife in 15”. Video episode 3. Trying to relax but…

End of a long day. You are trying to relax BUT the annoying other YOU is still to-do-fucking-listing!

Pillole per blogger sociopatici

blogger asleepPer quanto si parli di ‘crisi dei blog’, la rete è piena di gentedisuccesso che millanta la possibilità di far soldi e carriera scrivendo sul proprio blog.
Ci sono meccanismi e algoritmi fatti apposta per non essere capiti  – e quindi per sembrare affidabili – che spiegano come fare per avere millemilioni di visite e visualizzazioni e guadagnare così tanto da poter mandare al diavolo capi e cape, clienti e colleghi, in un impeto fantozziano di vendetta dell’impiegato.
E lavorare per scrivere. Per altro di cose delle quali si è esperti solo dal proprio punto di vista.

È vero. Si può. Come ci si può iscrivere ad un corso di teatro e qualche anno dopo essere la nuova musa di Woody Allen.  Come si può giocare a pallone a Bari vecchia e qualche anno dopo essere Cassano. Come si possono scrivere favole per una casa editrice di provincia e qualche anno dopo scrivere L’Ombra del Vento e diventare Zafon.
Quindi, partendo dall’assunto che dire ‘guadagna col tuo blog e molla il lavoro’ non è molto diverso che dire ‘vieni a fare questa sfilata e ti faccio diventare una stellina’, cosa spinge un blogger compulsivo/una blogger compulsiva a scrivere, scrivere, scrivere?
Una delle risposte, alla voce n. 5 di questo breve elenco di suggeriment su come fare per rendere interessante un atteggiamento sociopatico.

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1 – Farlo seriamente. Ma non prendersi sul serio (sempre meglio ribadirlo)

2 – Alla domanda ‘come fai a scrivere ogni giorno, nonostante il lavoro, gli impegni, le relazioni sociali e tutto il resto?’, rispondere ‘So gestire il mio tempo’.
Non tutti capiranno che in verità le tue relazioni sociali (se esistenti) hanno dei ritmi di vita molto peggiori dei tuoi, per cui puoi sempre fare affidamento sui tempi morti delle attese, dei ritardi, delle nottate a casa da sola, degli appuntamenti saltati.

3 – Tenere sempre a mente che le persone che ti stanno attorno devono amarti veramente molto, per leggere ogni illuminante articolo che pubblichi. E se alla tua domanda ‘hai letto il mio pezzo sulle nevrosi degli ornitorinchi del Bengala’ rispondono ‘sì’, vuol dire che alla vita non puoi davvero chiedere altro. Quindi stai seren*.

4- Stare sereni (sempre meglio ribadirlo)
Se per un giorno (o una settimana) non hai nulla in mente e non ti va di scrivere, non lascerai decine di persone orfane della tua arte. Ce la faranno. Si sopravvive alle tasse, figuariamoci alla nostra assenza.

5- Tenere sempre a mente: I blogger sono millemilioni, e ognuno scriver per proprie personali motivazioni.
Non tutti vogliono fare gli scrittori o essere riconosciuti come tali. E allora, è inutile cercare gli errori di battitura per far capire che ‘eh, bisogna saperlo fare, mica possono scrivere tutti’.

Io dico che sì, la scrittura è per tutti.
Perché ti aiuta a sentirti a casa, ovunque tu sia. Perché ti porta ovunque, anche se sei a casa.
Senza pretese di dover sempre e per forza comunicare qualcosa.
Che alla fine, scrivere è come un viaggio. E si scrive per la stessa ragione del viaggio (viaggiare)